I Racconti del Sabato sera – La postina che non bussava alla porta


“Fare la postina era qualcosa in più di un semplice lavoro, era una specie di missione da compiere, qualcosa che andava ben oltre il proprio compito di consegnare la posta, era prendersi cura della comunità, ascoltarne gli umori, i dolori, le gioie, la postina faceva parte della giornata delle persone, c’era sempre qualcuno ad attenderla”

La postina era la donna più emancipata del paese, perlomeno tra le le donne comuni, quelle che provenivano da famiglie umili, era quella che, in mezzo alle sue coetanee cresciute nel dopoguerra e a stento avevano completato le scuole elementari o le scuole medie, aveva continuato gli studi fino alla conquista del diploma, un vero primato per la sua epoca.

Era una delle poche donne che lavorava anche fuori casa, una delle poche che poteva definirsi “non casalinga”. Anche se la realtà è sempre ben diversa dalle definizioni, le donne di ieri e di oggi anche quando sono emancipate e con fortuna riescono a trovare un lavoro, non smettono i panni di casalinga, perché sono sempre loro ad occuparsi della casa, della famiglia, dei figli, degli anziani, in un cammino sempre in salita.

E in salita camminava Lina, diminutivo di Carmelina, la postina di Vallelunga, per vicoli e vicarielli del paese, attraversava il centro storico arroccato “‘n capò a la torre”, lei non era un’impiegata qualsiasi, di quelle per intenderci che stanno chiuse in ufficio comodamente sedute dietro ad una scrivania, eh no, lei era decisamente un altro genere di lavoratrice.

Lina era sempre in giro, con il bello e il cattivo tempo, a piedi macinava chilometri ogni giorno tirandosi dietro il suo borsone, arrivando anche nei quartieri più isolati dal centro, spingendosi oltre fino all’aperta campagna. Era molto di più di una postina, conosceva uno per uno tutti gli abitanti di Vallelunga, conosceva i loro nomi di battesimo e sopratutto i loro appellativi e conosceva le loro famiglie. Lina sapeva a memoria le loro storie, le ansie, le preoccupazioni, le gioie e i tormenti delle loro esistenze.

La posta era la forma di comunicazione più comune, il telefono era ancora il misterioso strumento che si sentiva suonare dalla casa del notaio, del farmacista, del dottore e dagli uffici pubblici, inoltre era costoso, molto più di un semplice francobollo. Le notizie viaggiavano sui treni e sulle navi, impiegando un tempo infinito per chi restava in attesa di riceverle, quasi ogni abitante del paese aveva qualche familiare lontano, nel ricco nord industrializzato o perfino in stati più lontani, speranza, qualche volta amara, di benessere.

Ogni giorno, alla stessa ora, Lina la postina circolava per le stradine, ma non bussava alle porte delle case, lei chiamava a gran voce le donne, che erano le riceventi della posta, una corale di nomi: “Tettella, ‘Razziuccia, ‘Macolata, Maria, ‘Ngiolella, Tanina, Nannina, Lenuccia, ‘Cenzina, Mena, Assuntina, Lucia, Nunziatina…”, tutte le femmine con trepidazione si affacciavano ai balconi e ai vasci, in attesa di scoprire la natura della lettera, di ricevere la buona o la cattiva novella.

Lina distribuiva le buste alle donne in fila e restava in attesa finché tutte le lettere fossero state aperte e lette , spesso era lei stessa a doverle leggere e tacendo qualche parola più aspra, tante di quelle donne non sapevano leggere.

In quel momento sembrava di assistere a scene di gran teatro, bastava osservare i mutamenti dei loro volti, il distendersi o l’incresparsi delle rughe, guardare in fondo agli occhi che s’incupivano, considerare le lacrime che spontanee si affacciavano o al contrario la gioia negli occhi, o le mani che si alzavano vittoriose al cielo, per comprendere il significato delle parole che faticosamente arrivavano da lontano.

Come poteva Lina restare indifferente a tutto questo? Come poteva continuare il suo giro fingendo che nulla fosse accaduto? Come poteva considerare il suo un semplice lavoro di fronte a quello spettacolo di vita?

Allora si fermava, consolava qualcuna, abbracciava qualcun’altra, dispensava qualche consiglio, si congratulava con alcune, stringeva le mani di una, asciugava le lacrime di un’altra. Lina la postina, una figura umana che nessun direttore delle poste e telecomunicazioni sapeva o immaginava di avere al proprio servizio. Dietro quelle consegne c’era sempre una storia, come le lettere che provenivano dal Canada recapitate a Luisa, quella giovane esile, dal viso pallido e gli occhi sempre tristi, che aveva avuto “un figlio della guerra”, come si denominavano i bambini nati dalle relazioni amorose con i soldati americani (che poi erano stati i canadesi, marocchini e neozelandesi a Vallelunga, mica gli Americani! ).

Quel giovane soldato che le aveva promesso di trasferirla in Canada una volta finita la guerra, a lei e “’o criaturo” , che le aveva promesso una vita dignitosa, un matrimonio, agiatezza econonomica e tanta felicità. Poi lui era ripartito e l’aveva lasciata ancora incinta, l’aveva baciata sulla fronte rinnovandole le promesse, e le aveva detto: “good bye my baby, I love you”. Le aveva scritto, una lettera, forse due, al massimo tre. Ancora promesse e poi il silenzio.

Ne erano passati di anni, ‘o criaturo era cresciuto, teneva dodici anni, frequentava la scuola, ma Luisa ogni giorno all’orario della posta si affacciava alla porta del vascio e chiedeva: “uè Lina, c’è posta per me? Sei proprio sicura che non ci sono lettere dal Canadà?”. Lina la guardava di sottecchi, e le rispondeva cauta e gentile, non se la sentiva d’infrangere una speranza, un desiderio, un sogno, partecipava a mantenere viva un’illusione: “Cara Luisa, neanche oggi lettere per te, ma vedrai, sì, vedrai, un giorno quel bel giovane biondo, magari con qualche capello bianco, busserà direttamente alla tua porta, verrà a conoscere il tuo Mike, scoprirà che è la sua fotocopia, alto, biondo e occhi azzurri, tale e quale a lui!… e ti sarà grato per come lo hai cresciuto, un bravo figlio. E resterà contento che lo hai chiamato con il suo nome, e non finirà mai di ringraziarti. Cara Luisa il tuo amore resiste oltre il tempo”.

Luisa confortata dalle parole della postina rientrava in casa e accarezzava la testa bionda del suo bambino, mentre Lina continuava il suo giro e chissà perchè entrambe le donne piangevano, non si sa se di gioia o di dolore.

La figura di Lina la postina fa già parte della storia, oggi il postino bussa al citofono frettolosamente e non è mai lo stesso, è il precario di turno, al quale non ci si affeziona, del resto lui non ha nessuna voglia di concedere il suo tempo pagato a ore, e poi consegna solo bollette da pagare, avvisi di mora, accertamenti fiscali, è diventato una figura “scomoda”.

Nessuno scrive più lettere o invia cartoline, la posta viaggia via e-mail, ognuno legge per conto suo; tutti sono diventati iper tecnologici, chinano i loro occhi e le loro teste su uno schermo e nessuno nota la loro espressione, nessuno coglie l’attimo in cui le rughe si corrucciano o si distendono e quando ricevono una notizia buona o cattiva che sia non c’è anima viva ad abbracciarli.

E la postina?

Lina ora sarà certamente più indaffarata di prima e magari starà consegnando quella lettera che Luisa aveva aspettato per tutta la sua vita.

Cinzia Spiniello



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