L’ingegnere honoris causa


Alessandro Lazzerini il titolo se lo era guadagnato sul campo, ha legato il suo nome alla storia della città ridisegnando il volto del centro cittadino (di Raffaele La Sala)

Alessandro Lazzerini era geometra e dopo il diploma si era iscritto e aveva frequentato la facoltà di Economia a Napoli: studi che era stato costretto a sospendere per tante ragioni e soprattutto per l’improvvisa morte, ad appena cinquant’anni, del padre Gaetano. Ma poi il titolo di ‘ingegnere’ se lo era guadagnato lo stesso sul campo, honoris causa, in 54 anni di attività nell’edilizia che, un po’ per caso, ma con molto coraggio e un po’ di azzardo, aveva intrapreso fin dal 1954. E subito, solo un paio d’anni più tardi, si era cimentato con l’impresa di ridisegnare il volto del centro cittadino, trasformando sott’ ’e teglie (il boschetto urbano di tigli, realizzato tra ’800 e ’900 ai piedi della collina di San Pasquale) in un imponente fabbricato che cancellava alla vista il profilo della chiesa e del convento di San Giovanni Battista.

Mi piace partire da qui per sgombrare subito il campo da una delle questioni più spinose e più discusse della sua attività imprenditoriale (l’altra quella della villa dei ‘milionari’ a via Roma fece un po’ meno rumore, come l’abbattimento dei più blasonati Palazzo Di Donato e palazzo Sessa). Ma fu proprio quella, d’altra parte, che fece di Alessandro Lazzerini un imprenditore di successo, noto in tutta la provincia ed anche oltre, certo per le polemiche che ne nacquero (e che forse, dopo 60 anni, non sono ancora del tutto sopite), ma anche per la qualità del suo lavoro, per il piglio sbrigativo e la determinazione del carattere, per la lealtà, senza cedimento ai compromessi. Si trattò di un intervento di forte impatto visivo ed emozionale, che trasformava l’area (insalubre, destinata prima a deposito di rifiuti, periodicamente messi all’incanto, poi a foro boario e a sversatoio di liquami domestici) in un fabbricato dalle linee geometriche e senza particolari evidenze architettoniche ma che alterava lo scorcio che le fotografie di Raffaele Troncone consegnavano alla storia cittadina come quinta elegante e solenne di eventi pubblici e privati. Era il primo radicale intervento edilizio in un dopoguerra che Atripalda viveva con una forte volontà di rinascita, segnata il 16 settembre del ’47 dalla inaugurazione del servizio filoviario (a quattro anni appena dai bombardamenti che avevano devastato Avellino e avevano portato distruzione e morte anche ad Atripalda, come ha ricordato su queste stesse colonne Carmine Cioppa).

Mi scuso per la digressione, che tuttavia mi pare necessaria a dare ragione e senso del ruolo e della personalità di Alessandro Lazzerini che, senza enfasi, è stato fino alla fine un protagonista della storia civile della nostra città. Protagonista nel lavoro, nell’associazionismo, nelle iniziative di solidarietà, sempre autorevole e ascoltato per la franchezza del pensiero, la concretezza, la spiccata attitudine a centrare il cuore delle questioni. Alla politica si era appassionato da studente, quando sembrava consapevolmente orientato a fare il professore. Era diventato, infatti, anche grazie alla prestanza fisica ed alla perentorietà dei toni che non ammettevano repliche, un riferimento autorevole nel gruppo di giovani intellettuali ed operai comunisti che si era raccolto intorno a Nicola Adamo, alla fine degli anni ’40. Aveva con loro attraversato l’esperienza ‘anarchica’ ed anticlericale del “Don Basilio”. E poi, sempre con Adamo, si era convinto della necessità (in chiave antidemocristiana) della mediazione e della realpolitik, attraverso la convergenza e poi l’alleanza con il vecchio notabilato prefascista delle professioni liberali, sopravvissuto al regime ed incarnato dall’avvocato Carlo Tozzi. Ma, dopo la decisione di lasciare gli studi di economia e mettere a frutto il diploma di geometra, dalla politica si era tenuto lontano, e soprattutto lontano dai partiti e dai loro eterni conflitti, ritengo per un istintivo rifiuto delle liturgie e delle lungaggini estenuanti, prima ancora che per calcolata convenienza professionale. Altri tempi. D’altra parte ripeteva spesso che unico interesse dell’imprenditore era uno scenario politico ‘credibile’, capace cioè di sostenere ed accompagnare la sfida e il rischio d’impresa, insomma una precondizione perché si potesse liberamente esprimere la creatività, l’innovazione, la qualità. E forse non era stato un caso che fosse toccato proprio a lui rilanciare l’antico sodalizio de “L’Indipendente” che in breve tempo si era imposto come un luogo di confronto civico trasversale alle ideologie e agli schieramenti e perciò assai spesso incisivo, e talvolta anche decisivo, nelle scelte amministrative. Caparbio e tenace, come il nonno dal quale aveva ereditato il nome, l’operaio toscano che era stato chiamato ad istruire le maestranze alle Fornaci Berardino, ateo e mangiapreti, convertito da un ‘paliatone’ che gli avrebbe fatto in sogno San Sabino. (Una bella storia quella del nonno Alessandro, artista della terracotta, che il compianto e carissimo Gianni Iannaccone aveva sottratto di recente all’oblio negli archivi della confraternita di Santa Monica. Ma anche quella del padre Gaetano colto e instancabile lettore, al quale il figlio Alessandro in segno di filiale e riconoscente omaggio aveva solennemente intitolato la ricca biblioteca di famiglia).

Alessandro, nelle occasioni ufficiali, ma anche nelle private conversazioni con gli amici più cari, amava dire di sé di essere un combattente, buono a fare il soldato e il generale. Insomma caparbio e tenace, ma anche capace di confessare il rammarico di aver impegnato la vita quasi esclusivamente nel lavoro, ma alla fine anche di realizzare il proposito di dedicare i gli ultimi anni operosi interamente alla famiglia.

Dopo i prestigiosi incarichi che lo avevano visto alla presidenza dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) di Avellino, negli anni cruciali del dopoterremoto, dopo l’intuizione di un’associazione delle Imprese edili irpine (Epri) per competere con le grandi aziende appaltatrici del centro Nord (purtroppo naufragata), l’ingegnere Lazzerini aveva progressivamente limitato la sua presenza pubblica. Una scelta sulla quale forse aveva pesato anche lo scontro politico che si era consumato sull’ambizioso progetto di un parco residenziale nella pineta Sessa. Da allora Alessandro aveva concentrato le sue energie nella realizzazione dell’imponente nuova cappella cimiteriale de ‘L’Indipendente’ e nell’associazionismo cattolico, che sentiva da anni nelle sue corde più intime e profonde, attraverso il quale manifestò solidarietà concreta verso i bisogni dei più deboli, sempre pronto a mettere in gioco competenze e prestigio professionale, maturati in oltre mezzo secolo di attività. Aveva anche accettato di buon grado di partecipare, su invito del vescovo di Avellino, alla gestione del Conservatorio di Santa Maria della Purità, tornando ‘ngopp’ ‘e monache, nei luoghi dove aveva vissuto con la famiglia bambino e adolescente. Ma dopo l’accurato ed efficace restauro dell’imponete complesso monastico, aveva dovuto a poco a poco certificarne il progressivo declino, fino all’odierno – e speriamo non definitivo – abbandono.

Con Alessandro Lazzerini, che ci lascia a 90 anni con sobria riservatezza, si chiude davvero una pagina densa, appassionante e non sempre luminosa di vita cittadina: dalla ricostruzione post bellica, al devastante terremoto del 1980, alla crisi anche di valori e di identità. Sono gli anni, dei quali un giorno, anche attraverso la sua testimonianza, i suoi progetti, le sue scelte, si dovrà scrivere la storia.

Raffaele La Sala



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