I racconti del Sabato sera – Le signorine del doposcuola


Come scriveva don Milani in “Lettera a una professoressa”: «se il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera, il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti»

Le tre sorelle “e’ Mariuccella” erano tutte e tre zitelle.

Ai loro tempi, e in taluni casi ancora oggi, così venivano appellate le donne che non trovavano marito: perchè non passava per la testa proprio a nessuno l’idea che una donna potesse scegliere liberamente di non sposarsi.

Chi restava zitella non aveva trovato nessuno disposto a sposarla, addirittura si usava dire “nun ’a trovato ’a ciorta”, a sostegno della tesi che il matrimonio fosse per le donne non solo l’unica aspirazione concepibile , ma era come vincere “un terno a lotto”.

La realtà al contrario spesso consegnava matrimoni infelici, a volte combinati dagli stessi familiari, altro che “ciorta”.

Di fatto non sapremo mai perché le tre sorelle avessero deciso di restare nubili e di continuare a vivere nella casa dei genitori, così anche dopo la loro morte, insieme al fratello Erminio, che guarda caso era pure lui zitone.

Impossibile attribuire loro un’età, il tempo sembrava si fosse fermato ad un certo punto della loro vita, quel punto in cui non si è abbastanza giovani e non si diventerà mai abbastanza vecchi.

Il loro aspetto era molto gradevole, mentre le malelingue sparlavano attribuendo alla loro poco avvenenza i mancati matrimoni.

Si somigliavano moltissimo, non si notava neanche la differenza di età, infatti solo pochi anni separavano le loro nascite, e il fatto che vestissero pressoché allo stesso modo, faceva sì che qualche forestiero potesse scambiarle per gemelle. Alte come poche donne dell’epoca, dalla figura slanciata, avevano un portamento eretto, i capelli neri sempre pettinati con cura e raccolti , la delicatezza dei loro tratti, l’incarnato pallido, gli occhi scuri ed espressivi completavano un profilo senz’altro piacevole alla vista, insomma avevano classe.

Qualcuno aveva fatto circolare la voce che molti anni addietro un giovane benestante si fosse innamorato della più piccola delle sorelle e volesse sposarla e che la famiglia si fosse opposta tenacemente, offrendo al giovanotto la possibilità di sposare la prima delle sorelle, perché non si poteva proprio invertire la marcia… e forse fu proprio in seguito a questa forte delusione d’amore che nessuna delle sorelle, per solidarietà volle più sentir parlare di matrimonio .

Le sorelle “e’ Mariuccella” erano conosciute in tutto il paese come “le signorine del doposcuola”, per via del loro mestiere: insegnanti al proprio domicilio, resta un mistero stabilire il loro grado di istruzione, di certo un po’ tutti i bambini di Vallelunga avevano frequentato quella casa nel primo pomeriggio di tanti giorni, d’inverno e d’estate. Molte mamme sacrificavano pochi spiccioli alla spesa pur di togliere per qualche ora i ragazzini dalla strada e tenerli impegnati , i più piccoli facevano le “mazzarelle”, i più grandicelli impostavano la scrittura, tutti insieme disegnavano e partecipavano alle letture ad alta voce.

La cucina nella quale si svolgevano le lezioni pomeridiane era buia , come tutte le case dei vicoli stretti dove il sole faticava ad arrivare anche d’estate, la stanza era piccola eppure riusciva ad ospitare anche più di venti bambini, di età compresa tra i quattro ed i dieci anni, non si ricordano presenze femminili, del resto anche le scuole del paese fino alla metà degli anni Sessanta erano rigorosamente divise tra maschi e femmine. Le signorine non avrebbero avuto problemi ad ospitare anche le bambine, anzi erano certe che la loro presenza non avrebbe fatto altro che giovare a quel clima sempre agitato creato da un gruppo di maschietti troppo vivaci e distratti, ma le mamme del paese erano ancora titubanti verso la mescolanza dei sessi, e non si rendevano ancora conto delle notevoli discriminazioni alle quali erano sottoposte come donne fin dalla nascita.

Il locale cucina affollato di testoline, molte delle quali a stento arrivavano al tavolo, gomiti che si spingevano per farsi largo sul piano dove in confusione giacevano gomme, matite, penne , colori e fogli, tanti fogli sparsi, alcuni dei bambini erano seduti sulla stessa sedia, altri, i più alti, restavano in piedi, c’era sempre un bambino che si addormentava in un angolo più nascosto, tutti parlavano sempre a voce alta, era inutile pretendere il silenzio o l’alzata di mano per prenotarsi all’intervento, le mani erano sempre in alto come uccelli pronti a spiccare il volo, non si adocchiavano in giro libri di testo, l’unico volume in vista era il vocabolario, i bambini svolgevano i compiti insieme; quella cucina era un laboratorio.

Non di rado accadevano litigi tra i compagni, sempre per futili motivi, che a volte sfuggivano al controllo delle insegnanti e sfociavano in vere e proprie risse collettive, allora i fogli roteavano in aria come foglie secche sollevate dal vento e a nulla servivano le minacce con la “mazza”, solo l’intervento di Erminio, con la sua stazza robusta e imponente e il suo vocione da tenore, metteva a zittire tutti. Ermino ridacchiava di nascosto, conscio di suscitare tanto spavento nei bambini, anche nei più impavidi, il suo carattere oltre alle apparenze era dolce e remissivo, ma accettava volentieri il ruolo del gigante. C’era anche un altro momento in cui l’uomo veniva chiamato in causa, in occasione dei compiti di matematica era Erminio l’addetto a prelevare il grande barattolo di vetro sopra la scansìa che conteneva numerosi noccioli di pesca. Si trattava “del metodo delle signorine” al posto del pallottoliere. Erminio affiancava sul tavolo i noccioli di pesca, aggiungendoli o sottraendoli a seconda delle operazioni, più semplice di così! Un nocciolo più un nocciolo uguale a due noccioli.

Un pomeriggio estivo, nel pieno della calandrella, l’ora in cui il sole picchiava più forte, mentre gran parte dei bambini erano intontiti dal caldo e dalla matematica, due di loro, tra i più vivaci, si stuzzicavano contentendosi una matita., Mario che tra i due era quello più impulsivo, senza perdersi in chiacchiere afferrò la cartella dell’altro e la lanciò fuori dalla finestra del primo piano direttamente nella strada. In quel vicolo le auto passavano di rado, in media una a settimana, ma la sfortuna volle che quel giorno e a quell’ora inusuale, proprio nel momento del lancio, passasse di lì un’auto nuova fiammante alla cui guida c’era un carabiniere in borghese.

Successe l’irreparabile.

La cartella arrivò a tutta velocità sul cofano dell’auto ammaccandolo vistosamente. In pochi minuti nel vicolo deserto fino a pochi attimi prima si radunò mezzo paese, la gente accorse da tutte le parti come accadeva ogni volta che qualche evento straordinario rompesse la monotonia di Vallelunga.

Il carabiniere era disperato, la sua auto nuova, per la quale stava ancora pagando le cambiali, era rovinata e qualcuno avrebbe dovuto per forza risarcigli il danno.

Mentre tutti discutevano su colpe e responsabilità, mentre le signorine del doposcuola cercavano attenuanti per il ragazzo e tentavano di riportare la giusta calma, mentre il pubblico non pagante prendeva ora le difese di Mario, ora del proprietario dell’auto, mentre tutti i bambini salivano e scendevano dall’auto in sosta come se fossero su una giostra, mentre tutto avveniva in contemporanea, un messaggero era già partito per raggiungere l’abitazione di Mario ed avvisare la mamma dell’accaduto.

La signora senza perdere neanche un minuto si riversò in strada così com’era, senza neanche togliere il grembiule che teneva attaccato al vestito. Arrivò trafelata sul luogo dell’incidente e ignorando completamente l’auto e il suo proprietario si gettò sul figlio abbracciandolo. Mario nel frattempo aveva iniziato a piangere e a singhiozzare disperato, così che la mamma urlò a gran voce: “povero criaturo, c’iaviti fatto piglià ’na “vermenata”, queste so’ cose e’ pazzi, pigliarsela co’ ’na povera anima è Dio, mò l’aggia portà subito addò dottore e speriamo che non è niente di grave”, detto questo sparì dal vicolo portandosi dietro “la povera creatura”, seguita a ruota da tutta la gente presente. In capo a quindici minuti dall’incidente nel vicolo non rimase più nessuno, erano scomparsi tutti, la stradina ripiombò nel silenzio più assoluto, peggio di un coprifuoco, un deserto circondò il carabiniere.

L’uomo si guardò sconsolato intorno, stropicciandosi gli occhi, ad un certo punto pensò addirittura di aver sognato tutto, ma quando lo sguardo si posò sull’ammaccatura del cofano dell’auto realizzò che l’incidente era accaduto davvero, solo che ora non c’erano più né testimoni, né colpevoli e seppur a malincuore non gli restò altro da fare che salire in auto, non senza mille imprecazioni, mettere in moto e scomparire anche lui.

Le sorelle “e’ Mariuccella” nel frattempo avevano rispedito tutti i bambini a casa, e dopo il trambusto di quella giornata decisero di sospendere il doposcuola per qualche giorno, in attesa di dimenticare completamente l’accaduto e di superare il tremendo “male e’ capo” che i bambini avevano procurato loro. Spettò ad Erminio affiggere un cartello davanti al portone: “Il doposcuola è sospeso per motivi familiari”. Fu quella la prima e l’ultima volta che le signorine del doposcuola fecero qualche giorno di ferie seppur forzate.

I bambini fanno ciò che possono: sognano. Gli insegnanti che incontrerranno lungo il loro cammino hanno il compito di far crescere questi sogni; “i bambini” delle signorine “e’ Mariuccella” stanno certamente ancora sognando.

Cinzia Spiniello



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