“Il beat sull’inchiostro”, ecco il primo libro di Federico Preziosi


Il rap che irrompe nella poesia dell’atripaldese che vive in Ungheria

Parole e musica si incontrano e irrompono ne “il Beat sull’inchiostro”, il primo libro di Federico Preziosi. Atripaldese, trapiantato in Ungheria da ben tre anni, oggi Federico insegna italiano in una scuola e collabora con l’università di Debrecen. Una carriera nel settore umanistico percorsa anche attraverso la sua passione più grande, la musica. Poi l’esordio come scrittore con questa raccolta di poesie tutt’altro che scontate.

“Il beat sull’inchiostro”: un sogno che si realizza o un’occasione inaspettata?

Il beat sull’inchiostro è una realtà, una parte di me stesso che ha bisogno di esprimersi attraverso mezzi creativi per sopravvivere e realizzarsi. Chi mi conosce sa benissimo che ho sempre dedicato una parte della mia vita ad attività artistiche, l’ho fatto con la musica (quando suonavo con Fade Out e Slow Motion Genocide) e adesso, con lo stesso spirito, mi ripropongo in una nuova veste. Non lo farei se non ne avessi l’esigenza. L’arte, quella vera, è sacrificio e dedizione, richiede grande amore principalmente per se stessi ed onestà intellettuale.

Già dal titolo comprendiamo che nel libro vi è la sintesi di musica e versi. Come avviene questo incontro e come è nata l’idea?

Vivendo all’estero ed essendo impegnato in numerose attività ho poco tempo per la musica: non è facile trovare le persone giuste, creare quel feeling necessario a mettere su una band e ritagliarsi il proprio spazio per comporre e suonare insieme. La musica ha bisogno di alcuni luoghi fissi, almeno per quanto mi riguarda. Con la poesia posso andare ovunque, ho sempre carta e penna a portata di mano e, semmai dovessero mancare, posso sempre usare il block notes dello smartphone per annotare gli spunti che mi vengono in mente. In un periodo di grandi cambiamenti nella mia vita mi sono avvicinato al rap perché i nuovi gruppi rock per la maggiore mi danno noia. Un giorno, scrivendo, mi sono accorto che componevo delle rime ispirato da quella musica. Ne sono uscite varie poesie e ho deciso di farne un libro. Non sono un rapper, ci tengo a precisarlo, ma così come Ginsberg cercava Bob Dylan in alcuni dei suoi componimenti, nelle mie poesie ho cercato di unirmi spiritualmente a Kendrick Lamar, i cui testi hanno, per me, un grande valore letterario. Che il libro si leghi al rap è evidente dalla copertina, un chiarissimo richiamo a The life of Pablo, ultimo disco di Kanye West.

 Le poesie sono accomunate dallo stesso filo conduttore o affrontano tematiche diverse?

Sono schegge impazzite, non c’è un filo conduttore se non questa società folle dove le idee hanno lasciato lo spazio all’apparenza. Appaio dunque esisto. Partendo da forme che richiamano il crepuscolarismo e il futurismo, descrivo questa rarefazione generale, una schizofrenia continua che fra proseliti nel mondo di oggi e si rifiuta di discutere o analizzarsi. Conta arrivare. La poesia è tra le forme d’arte probabilmente la più disprezzata, percepita antiquata e distante: al contrario io l’ho trovata adatta al mio essere: voglio mischiarmi e al tempo stesso prendere le distanze da tutto questo. Ogni lirica poi presenta un argomento, ma lascio che sia il lettore a scoprirlo.

Con “il beat sull’inchiostro” hai intrapreso la tua carriera da scrittore. Hai intenzione di continuare per questa strada?

Credo di sì, scrivendo quasi tutti i giorni avrei del materiale sufficiente per pubblicare altri tre libri di poesie, anche se abbraccerebbero uno stile molto diverso. Tutto dipenderà dal mercato naturalmente da come verrà accolto il mio esordio. È ancora presto per certe considerazioni, mi godo il momento.

 Il libro è stato lanciato qualche mese fa con la possibilità di un pre-ordine online. Come è stato il primo riscontro?

Abbastanza buono, ho ricevuto richieste da tutta Italia e i social network mi hanno aiutato molto. Parte degli acquirenti sono già miei lettori di fatto (alcuni diventati dei veri e propri amici) grazie a Poienauti, un gruppo Facebook dedicato alla poesia che ho fondato insieme ad Armando Saveriano, poeta irpino, Maestro ed amico. Poienauti non è solo una vetrina, ma una vera e propria palestra di formazione poetica, una realtà che mi ha portato ad avvincinarmi a dei veri e propri talenti emergenti e non. Da questo incontro abbiamo creato Versipelle, una comunità poetica (https://versipelleblog.wordpress.com/). Tutte le mie liriche sono già passate per questi canali, chi mi legge sa cosa compra. Poi naturalmente ci sono i famigliari, gli amici e i curiosi… per loro sarà una sorpresa! Non vedo l’ora di vedere le loro reazioni.

Nel percorso che ti ha portato alla realizzazione del libro sei stato supportato qualcuno?

Moralmente da Armando Saveriano e qualcun altro che mi ha seguito, per il resto ho ritenuto che pubblicare fosse importante ed ero molto motivato a raggiungere l’obiettivo.

Hai già fissato delle date per le presentazioni, magari in Italia?

Sicuramente ad Avellino e Napoli, ma i giorni non sono stati ancora definiti. Dopo l’estate lo presenterò anche a Budapest.

Anche se non vivi più la quotidianità della tua città, dai social emerge che sei sempre molto legato ad Atripalda. Hai mai pensato di tornare?

I social network ti consentono di seguire gli avvenimenti anche stando lontano migliaia di chilometri e di fatto oggi non si taglia mai il cordone ombelicale. Mi capita spesso di leggere i post dei miei amici e di scherzare con loro, Facebook rappresenta anche un’espressione viva della mia gente da cui, per fortuna, posso ancora attingere. Tuttavia non credo che possa tornare: in Ungheria riesco a vivere abbastanza bene da solo a condizioni che non sono riuscito a trovare nella mia terra.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Continuare ciò che sto facendo, salvo ripensamenti.



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